Normalmente uso il mio blog per parlare dei miei viaggi (organizzati, pianificati, desiderati e vissuti da me stessa). Oggi invece voglio condividere con voi l’intervista che ho fatto a Federico Marretta: ex pallavolista, appassionato di moto, viaggi e video… E anche un po’ “originale e pazzerello”!
Fede ha canale YouTube e profilo Instagram veramente molto interessanti!
Io e Fede ci siamo conosciuti nel 2017 quando è arrivato alla Calzedonia Verona (per il campionato di pallavolo di superlega).
Lo seguo dai “suoi primi passi”, i video dei giri: attorno al Lago di Garda, sul Delta del Po, in Transilvania… Ricordo di avergli detto che le sue creazioni erano molto interessanti e che avrebbe dovuto lavorarci un po’ perché mi piaceva sia il suo modo di comunicare che il suo punto di vista.
Inoltre, non nego che alcuni suoi video hanno stuzzicato il mio interesse a tal punto che mi hanno dato spunto per mini gite (penso per esempio a quella sul Delta del Po). Così lui è diventato il mio punto di riferimento per le ActionCam (che io di fatto utilizzo in modo limitatissimo solo in acqua e soprattutto per fare foto) ed io ho ricambiato con qualche piccolo suggerimento per l’acquisto di una “macchinetta” e per la fotografia in generale…
Quest’anno a maggio abbiamo rischiato di incrociarci a Meteora (Grecia)… Nel frattempo ho seguito con grande interesse il suo viaggio verso la Mongolia, talvolta con un po’ di preoccupazione.
Veniamo al suo viaggio!
A maggio 2022 è partito con la sua moto da Modena ed è arrivato dopo 3 mesi in Mongolia percorrendo circa 26.000 chilometri, attraversando 2 Continenti e ben 10 Paesi (Grecia, Turchia, Iran, Georgia, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Mongolia).
Quando hai iniziato a pensare e a pianificare questo viaggio che probabilità di riuscita ti davi?
Che l’avrei scoperto solo facendolo. A dire il vero non mi davo molte chance di riuscita perché, tra COVID e guerre, non sapevo cosa mi sarei potuto trovare. E in un viaggio come quello non puoi mai sapere cosa ti potrà accadere il giorno dopo, bisogna viverlo giorno per giorno, anzi minuto per minuto! Ti faccio un esempio. Prima di partire, ho fatto tutti i visti che sono riuscito a fare. Ma per alcuni paesi ho dovuto gestire la procedura direttamente là. Per entrare in Tagikistan serviva un visto elettronico (almeno così avevo letto) che non riuscivo ad ottenere. Poi una volta arrivato alla frontiera, mi hanno rilasciato un visto provvisorio che ho dovuto convertire entro il giorno successivo all’ufficio immigrazione di Dushanbe, la capitale.
Perché proprio la Mongolia, non è una meta banale?
Quando programmi un viaggio lungo in moto, la prima meta a cui pensi è Capo Nord. Non lo so, la Mongolia mi sembrava il posto più a Est che potessi raggiungere.
La forte passione per la moto è nata 5 anni fa, quando giocavo in Superlega nella Calzedonia Verona, quando ci siamo conosciuti. Passione inizialmente un po’ frenata perché non era compatibile con il gioco di alto livello…
Il viaggio verso la Mongolia, era una cosa più grande di me. Mi dava un senso di libertà: prendere la moto quasi senza meta, anche se l’obiettivo c’era! L’obiettivo del viaggio non era solo la meta, ma soprattutto il tragitto in solitaria.
Non nego che ho dovuto modificare molte volte l’itinerario che avevo in mente. A volte per colpa mia, perché mi sono perso scegliendo la strada sterrata sbagliata, a volte perché mi hanno sbarrato la strada. In Turkmenistan non sono riuscito ad ottenere i visto, non c’era modo di passare via terra e quindi sono dovuto ritornare indietro verso Turchia e deviare verso nord, percorrendo Georgia e Russia.
Qual è la cosa in assoluto più emozionante che hai provato?
Non ce n’è una sola, ne ho tante!
La bellezza di questo viaggio è stata la possibilità di godermi paesaggi incredibili, percorrere strade bellissime, trovarmi su punti panoramici spettacolari.
La cosa bella di un viaggio verso est è incontrare culture che fanno dell’ospitalità verso lo straniero un loro principio cardine. Durante i 3 mesi di viaggio, raramente ho dormito in hotel, qualche volta in tenda e per la maggior parte delle volte sono stato ospitato.
Inoltre, l’italiano quasi ovunque è il benvenuto. In Iran particolarmente!
Episodi singoli tanti: la notte del mio compleanno nella Yurta in Kirghizistan oppure quando ho risolto i problemi che ho avuto prima in Iran poi in Mongolia nel deserto del Gobi…
…e il momento più triste?
Ne ho avuti parecchi!
Ricordo il mix tra tristezza ed eccitazione, quando ho lasciato i miei amici in Turchia. Ero triste perché condividere un viaggio è sempre una bella esperienza, mi rendevo conto che stavo lasciando i miei amici, ma d’altro canto ero eccitato perché iniziava “il viaggio”.
In Iran quando sembrava che non potessi proseguire, che non potessi andare avanti per via dei visti che non riuscivo ad ottenere.
Quando ho bruciato lo statore della moto ero disperato, perso, stanco, un caldo pazzesco. Le persone più anziane non parlavano inglese e quindi anche la comunicazione risultava difficile.
In Georgia ho conosciuto una coppia turca, con cui ho trascorso quattro giorni meravigliosi. Quando ci siamo staccati mi sono chiesto se aveva senso quello che stavo facendo e ho avuto un momento di solitudine e sentendomi smarrito.
A Dushanbe in Tagikistan avevo incontrato dei ciclisti italiani che mi avevano avvertito di stare attento agli sbalzi di altitudine, ma non ho preso troppo in considerazione i loro consigli e ho sottovalutato la cosa. Sono passato da circa 1000 metri a 5000 nel giro di 3-4 ore. Sono stato malissimo!
In Mongolia, quando sono rimasto senza benzina ero disperso nel mezzo del deserto del Gobi. Ho sbagliato strada prendendone una sterrata che mi ha portato da tutt’altra parte. L’ho capito tardi. Avevo visto che c’era un villaggio dove teoricamente avrei dovuto trovare un distributore, che non era in funzione e mi sono trovato in mezzo al nulla con un’autonomia di meno di 50 km.Grazie ad una serie di circostanze e conoscenze, sono riuscito a rifornire la mia moto. Quando finalmente sono ritornato sulla strada asfaltata mi è venuto da piangere.
Inoltre, più mi allontanavo dall’Italia più le innumerevoli variabili iniziavano a diventare un problema e mi metteva sempre più ansia il fatto che non sapessi mai cosa mi sarebbe successo il giorno successivo. Più passavano i giorni più la stanchezza si faceva sentire facendomi pesare anche le quotidiane ricerche di un alloggio. Usando googlemaps, a volte vedevo villaggi, homestay, benzinai, ma una volta arrivato spesso trovavo tutto abbandonato.
Hai mai avuto paura?
Paura ogni tanto si, ma non delle persone. Avevo paura di cosa mi sarebbe potuto succedere.
Stai seguendo l’attualità? Da quando sei rientrato in Italia alcune delle strade che hai percorso sono diventate teatro di scontri molto violenti, ogni tanto pensi a cosa hai rischiato?
Si e tante cose le ho capite solo direttamente sul posto.
Da quello che ho intuito, tanti conflitti nascono a causa della divisione post smantellamento URSS. I confini sono approssimativi e basta poco per accendere la miccia.
Ad esempio ho percorso la strada lungo il fiume sulla Wakhan Valley, costeggiando l’Afghanistan, una zona di confine un “po’ calda”.
A Samarcanda ci sono più Tagiki che Uzbeki e la situazione è sempre sul filo del rasoio.
E poi, quando dovevo attraversare il confine tra Uzbekistan e Kazakistan, mi è stato detto che era chiuso a causa di rivolte proprio al confine e quindi sono dovuto tornare indietro e modificare di tante miglia l’itinerario.
Un viaggio del genere non lo puoi fare con tappe fisse e prestabilite perché entrano in gioco troppe variabili, incluse le rivolte.
Come comunicavi?
L’inglese lo parlano solo i ragazzi sotto i 30 anni, per il resto utilizzavo il traduttore di Google. E per poterlo avere a mia disposizione, ogni volta che entravo in un nuovo stato, dopo aver passato il confine, cercavo il villaggio più vicino e compravo una SIM locale. Era indispensabile per il tragitto, per comunicare con loro, ma anche per far avere notizie ai miei a casa.
Prima di partire mi ero studiato le parole essenziali in russo, perché lì lo parlano tutti: come chiedere informazioni per far rifornimento, per dormire, mangiare… Ma avevo sottovalutato una cosa che un po’ mi è mancata: interagire, capire, scoprire… Insomma chiacchierare con loro. Mi sarebbe piaciuto entrare più in contatto con con i locali per ascoltare le loro storie. Alcune volte ci sono riuscito ed è stato molto emozionante.
Fede, tra i vari post mi è rimasto particolarmente impresso quello in Kirghizistan nella Yurta, se non sbaglio, la notte del tuo compleanno. Da viaggiatrice non coraggiosa come te, quando ho visto quel post ho pensato: “da solo in mezzo al nulla, in posti che nella mia testa sono molto pericolosi. Che coraggio!”. Mi spiego meglio: da una parte penso che loro non siano abituati a viaggiatori come te e che quindi potrebbero non gradire o fraintendere. Dall’altra, li considero paesi dove girano parecchie armi e dove la vita ha un valore diverso.
Forse in quei posti funziona un po’ al contrario rispetto al tuo “immaginario”. E’ nelle grandi città dove bisogna prestare più attenzione a non essere “fregati” perché ti vedono come un turista da sfruttare, rispetto a quando sei in zone meno popolate come campagne o montagne o nel deserto, dove sono curiosi perché vogliono capire come viviamo. In queste zone l’accoglienza del viaggiatore è un punto cardine del loro stile di vita. Ho incontrato nei posti più dispersi persone di un’ospitalità rara. Poi l’italiano è ben voluto ovunque!
Ti faccio un esempio. Vicino a Persepoli stavo cercando un posto dove dormire e mi si è avvicinata una signora di circa 40 anni che, insieme alle sue 3 figlie, mi ha ospitato in casa. Era una ex guida turistica e quindi parlava l’inglese. Parlare con lei e conoscere la sua storia, mi ha trasmesso il malessere delle donne in Iran. Era evidente la tristezza negli occhi della mamma per non essere in grado di offrire alle proprie figlie un futuro in libertà. Inizialmente ero un po’ titubante se accettare, perché mi sembrava strana la sua proposta di ospitarmi. Forse quella donna aveva solo voglia di parlare con un uomo che potesse capire la sua angoscia.
…proprio il contrario di ciò che il mio “immaginario” mi suggerisce.
Quest’intervista ho provato a fartela poco dopo il tuo rientro in Italia, praticamente mi hai rimbalzata per un paio di mesi…
Quando sono rientrato non riuscivo a parlare del viaggio, con nessuno. Ho avuto bisogno di tempo per metabolizzare. Forse è stato un po’ traumatico il rientro: 3 mesi per arrivare a Ulaanbaatar e un giorno per rientrare a casa. Poi pian pianino, quando mi sono assestato, ho ricostruito gli episodi e ho iniziato a parlarne.
Nel frattempo nelle mia testa mi sono fatto 1000 domande tra cui perché si viaggia? Perché io sono partito?
Io credo di viaggiare per scoprire, raggiungere orizzonti lontani con la moto e sentirmi libero, ma anche per scappare da qualcosa. Forse volevo scappare dalla pallavolo, dopo una vita e una carriera discreta, dopo decenni a praticare uno sport che mi faceva divertire e mi faceva star bene… Ma che forse mi ha tolto qualcosa. Sono arrivato al punto in cui sono dovuto ripartire da zero reinventandomi.
Cosa si prova ad attraversare un deserto, con i suoi silenzi e il nulla?
Dentro al deserto ho provato un’altalena di emozioni che mi faceva sentire vivo.
La tua prossima meta?
Ci sto lavorando. Americhe: dal Canada a Ushuaia in Argentina.
Cosa vuoi fare da grande?
Ehehehe… Mi piacerebbe fare della mia passione per la moto un lavoro. Nel frattempo vorrei dare una mano ai miei genitori nello studio medico.
Se tornassi indietro lo rifaresti?
Se tornassi indietro lo rifarei altre mille volte. Aldilà della destinazione ciò che mi è rimasto più nel cuore è stato il viaggio, “il mentre”!
Sei dimagrito?
Si, oltre i muscoli persi, ho avuto un po’ di problemi con il cibo. Io che non mangio cipolla e aglio, mi sono dovuto adattare, questione di sopravvivenza (ho fatto arrabbiare anche mia madre perché i suoi piatti con aglio e cipolle non li mangio)!
Quale consiglio ti senti di dare a chi pensa di fare il tuo stesso viaggio?
Il consiglio è non aspettatevi nulla, partite programmati con i visti e la strada indicativa, ma siate aperti a improvvisare! Inoltre, non partite prevenuti nei confronti delle persone. Attenti si ma non prevenuti perché, se possono, faranno di tutto per aiutarvi e per rendere indimenticabile il vostro viaggio, come è successo a me! Non sono stato il primo e non sarò l’ultimo a fare una cosa del genere. So di non aver fatto una cosa comune ma credo sia un viaggio alla portata di tanti!
L’importante è partire liberi da pregiudizi e lasciarsi andare a ciò che questa tipologia di viaggio può regalare… sempre dopo una lunga fase di preparazione, di ricerca delle fonti attendibili (dove attingere in materia di sicurezza, attualità e burocrazia) e quindi di studio.
Foto fornite da Federico Marretta, a parte quelle relative alla pallavolo che ho scattato io! Lo ringrazio di cuore e vi anticipo che io sono già connessa sul suo prossimo viaggio! E forse anche nel 2023 possiamo rischiare di incrociarci…
Un viaggio inizia molti mesi prima di partire, esattamente quando, tra le varie opzioni, mi convinco che QUELLA sarà la mia prossima meta e me ne innamoro così intensamente da ritenere che sarà la più bella.
Difficilmente un viaggio mi delude, quasi sempre invece mi fa provare emozioni inaspettate!
Il più bel viaggio, è quello che non è stato ancora fatto.
Loick Peyron
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